Fin dall'età della pietra il Giglio era abitato dai Liguri. Intorno al 1200 a.C. gli Etruschi o Tirreni fecero sentire la loro potenza sia in terra, sia in mare e li cacciarono,occupando l'Etruria, tutte le isolette dell'arcipelago e parte della Corsica. Si dice che fossero "i padroni del mare" e che ben poche navi dei popoli vicini si avventurassero sul mar Tirreno. Gli Etruschi al Giglio si dedicavano all'escavazione e lavorazione del granito che utilizzavano per le proprie costruzioni, i monumenti e le ancore delle loro navi. Sfruttavano i giacimenti di ferro e pirite che c'erano al Campese e poiché sono stati ritrovati resti di fornaci si crede che gli Etruschi fondessero il metallo sull'isola per poi lavorarlo. Estraevano inoltre l'ocra, necessaria per la preparazione di tinture e per le loro cerimonie sacre. Si pensa che al Campese ci fosse un vero villaggio minerario. Il Campese, come il Porto, era il principale punto d'attracco delle navi che caricavano il minerale ed il granito destinato a raggiungere la terraferma. Allora il traffico marittimo era intenso e ciò è dimostrato dal ritrovamento di relitti di navi etrusche sui fondali dell'isola. Su queste navi sono state recuperate delle anfore, contenitori in argilla, che probabilmente contenevano vino ed olio.
Da Alessandro Fei, Civiltà mineraria all'Isola del Giglio , Circolo Culturale Gigliese 1989. "Un'interessante testimonianza ci è fornita dal Paolicchi(...) Un giorno una donna mi fermò al Castello e mi disse che, nel 'picconare ' il marito minatore aveva rotto uno ziro sotto terra; c'eran tante cose dentro, anche un diadema. Le tombe etrusche trovate dai minatori furono due, sempre a orcio (ziro o coppo). Il direttore gentilmente mi concesse il permesso di vedere gli oggetti. I rottami degli orci erano interessanti; la frattura nello spessore mostrava tre strisce parallele, due nere all'interno e all'esterno, una rossa mediana. Nell'impasto ceramico erano immersi grossi chicchi della rena del Campese, che, data la diversa loro costituzione, avevano reagito diversamente al fuoco, ed erano grigi. Dunque opera locale, argilla e rena locale. Non erano cotti al forno, ma all'aria aperta, con fuoco dentro e fuori. Ambedue gli ziri contenevano resti del rogo funebre e gli oggetti in bronzo. La punta e il codolo di una lancia i denti di una giovinetta di circa 14 anni. Il diadema era il manico ben lavorato di una 'cista' il salmastro delle acque marine aveva corroso il bronzo. Le due terrecotte erano decorate 'a pizzicotti' dati nella mota fresca col pollice e l'indice, in rilievo giravano intorno nello ziro ' " . Questo documento testimonia come altre anfore, o ziri, siano state ritrovate sepolte sotto terra, nella campagna gigliese; esse erano, molto probabilmente, urne cinerarie dove gli Etruschi conservavano le ceneri dei defunti, dopo la cremazione (bruciavano sul rogo i loro morti). Gli Etruschi dominarono l'isola fino a quando i Romani, dopo numerose battaglie, li sconfissero definitivamente a Vadimone, impossessandosi di tutta l'Etruria e delle sue isole: era l'anno 331.
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