scritto da Greenpeace, Legambiente e WWFTornare a parlare di nucleare è un esercizio davvero inutile e un dibattito sterile”
“Invece di continuare ad alimentare un dibattito sterile sul nucleare, una tecnologia di produzione di energia superata dalla storia, surclassata da tecnologie più mature e competitive che usano fonti rinnovabili, sarebbe auspicabile che il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani e tutto il governo italiano si facessero portavoce, nella discussione europea sulla nuova tassonomia verde, di una posizione chiara e avanzata che non ceda alle lobby del gas fossile e del nucleare, così come hanno fatto altri governi, per esempio la Spagna.
Le nostre associazioni, come le numerose imprese italiane dell’economia avanzata e verde , non possono accettare un posizionamento italiano di retroguardia a proposito della nuova tassonomia green, così come le timidezze dimostrate sulle urgenti semplificazioni per decuplicare la potenza annua installata di rinnovabili, sull’approvazione del nuovo Pniec in linea con il nuovo obiettivo europeo per ridurre del 55% i gas climalteranti entro il 2030, sul taglio dei sussidi alle fonti fossili che neanche la legge di bilancio appena approvata ha praticato. Ci aspettiamo dall’esecutivo Draghi una presa di posizione chiara, in linea con i mandati referendari e con gli impegni sul cambiamento climatico, per contribuire a fermare lo snaturamento della tassonomia verde, che rischierebbe di essere un grave autogol europeo in evidente contraddizione con l’impostazione del green Deal”, questa la posizione di Greenpeace, Legambiente e WWFrispetto alla proposta avanzata dalla Commissione di inserire il nucleare e il gas naturale all’interno di una lista di attività economiche considerate sostenibili dal punto di vista ambientale e alla risposta che l’Italia dovrebbe dare in merito.
Le associazioni ricordano che da mesi è in corso in Italia un dibattito surreale sul cosiddetto nucleare di quarta generazione, favoleggiato da decenni senza nessuna reale novità tecnologica, e sui piccoli reattori modulari - ancora in fase sperimentale - partito dalle dichiarazioni inopportune del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani che hanno distolto l’attenzione sulle tecnologie che usano le fonti rinnovabili già a disposizione sul mercato, che sono in grado di produrre elettricità a costi di gran lunga inferiori senza emettere anidride carbonica, né produrre scorie radioattive o aumentare i rischi di incidenti catastrofici.
“Si è discusso in modo vacuo dei rincari in bolletta, da alcuni paradossalmente addebitati alla transizione ecologica, senza puntare il dito sulla vera causa da ricercare nella eccessiva dipendenza del nostro Paese dall’uso del gas e nei ritardi nell’esecuzione del Green Deal, come ha fatto giustamente notare il vicepresidente della Commissione Europea Frans Timmermans. Ora sentiamo parlare – continuano Greenpeace, Legambiente e WWF - di un fantomatico referendum per tornare al nucleare e vale la pena ricordare che nel nostro Paese questo strumento serve solo per abrogare norme, come è stato fatto con grande successo nel 1987 e nel 2011 quando, per ben due volte, i cittadini del nostro paese si sono espressi chiaramente contro la produzione elettrica dal nucleare. Tornare a parlare di nucleare è un esercizio davvero inutile, nei tempi di risposta alla crisi climatica, nel contributo dato alla produzione di elettricità e nella riduzione del costo in bolletta”.
I reattori di quarta generazione, al centro di programmi di ricerca in corso da 20 anni senza grandi risultati, sono del tutto fuori gioco rispetto alla data di riferimento del 2030. Occorre invece accelerare subito sul taglio delle emissioni: i nuovi obiettivi europei per il clima, a cui l’Italia deve attenersi, prevedono un taglio del 55% delle emissioni di gas climalteranti (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2030, e la neutralità climatica entro il 2050.
Al netto di tutti i problemi irrisolti legati alla produzione di energia dall’atomo con la costruzione di centrali nucleari di terza generazione, l’unica attualmente disponibile (la sicurezza delle centrali, lo smaltimento definitivo delle scorie, il decomissioning degli impianti chiusi, il costo di produzione per kilowattora), investire in questa forma di produzione di energia come contributo alla lotta ai cambiamenti climatici, sarebbe una scelta assolutamente contraddittoria con l’urgenza negli interventi di riduzione delle emissioni climalteranti, ribaditi anche nei rapporti dell’IPCC, per contenere il riscaldamento globale a 1,5°C.
Inoltre, considerando i programmi di dismissione di centrali nucleari costruite nel passato, i progetti di nuovi impianti di terza generazione in varie parti del mondo (soprattutto Cina e India) non hanno le dimensioni per portare significativamente al di sopra del 2% la quota di consumi finali d’energia oggi spettante al nucleare. In Europa il peso del nucleare è caduto dal 17% al 10% dei soli impieghi elettrici, mentre i nuovi reattori di terza generazione faticano a vedere la luce nei paesi in cui sono in costruzione: i ritardi nella conclusione dei cantieri e i relativi costi sono aumentati enormemente rispetto alle stime iniziali, come da tradizione dell’industria nucleare civile.
Anche sul fronte dei costi della bolletta, puntare sul nucleare sarebbe un vero suicidio. Nei decenni i costi del nucleare sono saliti sempre di più, mentre quelli delle rinnovabili sono scesi a livelli sempre più bassi. Oggi il kWh di energia elettrica prodotto dal nucleare costa molto di più dell’energia prodotta dal fotovoltaico o dall’eolico: secondo il World Nuclear Industry Status Report, nel 2020 produrre 1 kilowattora (kWh) di elettricità con il fotovoltaico è costato in media nel mondo 3,7 centesimi di dollaro, con l’eolico 4, con nuovi impianti nucleari 16,3.
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