corallo

Colonie di “Corallum rubrum”per gentile concessione di Gianmaria Vettore dell'International Diving dell'isola del Giglio e di Simone Nicolini dell Argentario Divers di Porto Ercole.

di Armando Schiaffino

Colonie di “Corallum rubrum”per gentile concessione di Gianmaria Vettore dell'International Diving dell'isola del Giglio e di Simone Nicolini dell Argentario Divers di Porto Ercole.

Intitolare il presente articolo La pesca del corallo all’iso­la del Giglio sarebbe stato sicuramente fuorviante, con­siderato il poco e discontinuo interesse dei Gigliesi per questo tipo di attività. L’argomento risulta essere, nello stesso tempo, estremamente interessante per l’enorme valenza economica e commerciale che, nelle varie epo­che storiche, hanno sempre suscitato i ricchi banchi di corallo presenti nelle acque dell’isola. Il corallo infatti è sempre stato universalmente considerato come una pietra preziosa, al punto di essere definito “l’oro rosso”, utilizzato, fin dall’antichità per la creazione di gioielli, con un ulteriore valore aggiunto di carattere apotropai­co, in quanto considerato come un talismano contro il malocchio, simbolo di protezione, fortuna e prosperità[1].

Come noto, l’isola del Giglio nel 1544 subì una rovi­nosa incursione piratesca da parte del corsaro Ariade- no Barbarossa che espugnò il Castello, deportò l’inte­ra popolazione e incendiò il paese distruggendo ogni traccia, anche documentale, di pre-esistenti testimo­nianze storiche. L’isola era già allora nota non solo dal punto di vista strategico-militare ma anche per la sua produzione vitivinicola e per le sue risorse minerarie; oltre a questo, tutta una serie di indizi e circostanze lascerebbero ragionevolmente ipotizzare che, già nel periodo anteriore al Barbarossa, sia esistita una forte attenzione legata all’industria del corallo.

Il Giglio, nel XIII secolo, apparteneva alla potente Re­pubblica Marinara di Pisa che aveva notevoli relazioni commerciali con Trapani, in quei lontani secoli capitale mediterranea della pesca e della lavorazione del corallo[2]. Con i suoi ricchi banchi corallini l’isola era a metà strada di navigazione marittima fra Trapani e Pisa. Il dato più significativo che collega, da epoche arcaiche, l’isola del Giglio alla città, anzi all’intera provincia di Trapani, è la coltivazione della vite ansonica. Nonostante che in tem­pi moderni tale uva venga coltivata anche in altre zone (Elba, Argentario, Capalbio ecc.) se si esamina una map­pa ampelografica (cioè una carta della coltivazione dei vitigni nelle varie regioni d’Italia) di almeno cinquanta anni fa, si nota che il vitigno ansonico veniva coltivato estensivamente e unicamente sul territorio dell’isola del Giglio e dell’intera provincia di Trapani. Oltre a varie altre analogie di alcune tradizioni gigliesi con la Sicilia, significativa la presenza di una copia della statua della Madonna di Trapani nella chiesa di Giglio Castello (poi trafugata) e attribuita allo scultore Nino Pisano[3].

Dal XVI secolo si iniziano ad avere prove documen­tali sull’importanza dell’isola del Giglio nell’industria della pesca del corallo e dei rapporti con i principali centri della lavorazione e del commercio. Come noto dalla storia, nel 1492 con il decreto dell’Alhambra, noto anche come editto o decreto di Granada, i re cattolici di Spagna Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona, ordinarono l’espulsione delle comunità ebraiche dai re-

 [1]  La maggior parte del corallo usato fin dall’antichità per i gioielli è tratto dagli scheletri calcarei di organismi marini appartenenti al genere “corallum rubrum”, corallo rosso, che vive nel Mediter­raneo e che, fino alla prima metà del ‘700 era stato erroneamente ritenuto appartenente al regno vegetale anziché animale.

[2]  La storia del corallo trapanese ha origini molto lontane e risale al XII secolo. La scoperta di banchi di corallo avvenuta fra il 1416 e il 1418 nel mare di Trapani e nel 1439 nei pressi di San Vito Lo Capo, determinarono l’immigrazione di famiglie di religione ebrai­ca provenienti dal Maghreb che contribuirono alla lavorazione e alla commercializzazione sui vari mercati d’Italia.

[3]   Autori vari, Chiese e oratori campestri dell’isola del Giglio, Circolo Culturale Gigliese, 2014.

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