«Un grosso problema da affrontare è la sindrome Nimby, ovvero la resistenza da parte della popolazione che vive vicino agli impianti eolici»
L’eolico rappresenta una tecnologia d’elezione per affrontare la crisi climatica in corso e compiere la necessaria transizione verso le energie rinnovabili: tutti i territori italiani sono chiamati a fare la propria parte, Toscana inclusa.
Guardando a tutte le fonti, la bozza per il decreto sulle Aree idonee alle rinnovabili – dove non mancano le criticità residue, anche per l’eolico – impone alla Toscana di installare almeno 4,3 GW di nuovi impianti al 2030. Non è ancora chiaro quale sarà il ruolo dell’energia del vento in questo contesto, ma di certo lo stato dell’arte è piuttosto arretrato.
Su circa 6mila impianti eolici ad oggi presenti in tutta Italia, in Toscana ce ne sono appena 122 per 143 MW di potenza installata, lo stesso dato del pre-pandemia. Da almeno quattro anni, dunque, l’eolico sul territorio è sostanzialmente fermo.
Eppure le potenzialità per sviluppare la tecnologia nell’ottica di uno sviluppo sostenibile ci sarebbero, come evidenzia Alessandro Bianchini – ricercatore alla facoltà di Ingegneria all’Università di Firenze – nell’ultimo appuntamento formativo dedicato al tema per il personale dell’Arpat, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana.
«In generale, guardando al costo rappresentativo delle fonti energetiche, l’eolico ha un costo competitivo, risulta tra quelli che costano meno a livello europeo – sintetizza Arpat – Un altro elemento a favore dell’eolico risiede nel fatto che gli impianti eolici hanno un basso consumo di acqua, tra tutte le rinnovabili è quella che salva di più la risorsa idrica».
Perché allora lo sviluppo del comparto è fermo? «Oltre ai tempi lunghi dei procedimenti amministrativi (che durano dai 5 ai 7 anni contro i 6 mesi previsti dalla normativa, ndr) dobbiamo considerare che ci sono molti megawatt di progetti autorizzati ma bloccati da ricorsi giudiziari – continua l’Arpat – Infatti, un altro grosso problema da affrontare è la sindrome Nimby, ovvero la resistenza da parte della popolazione che vive vicino agli impianti eolici. Tutti siamo a favore della transizione energetica e delle rinnovabili, purtroppo, quando si tratta di installare delle turbine eoliche nascono sempre problemi con la cittadinanza residente».
Un esempio recente arriva purtroppo proprio dalla Toscana: la Regione con l’assessora all’Ambiente Monia Monni ha dato prova di coraggio autorizzando, all’inizio del 2022, la costruzione di un parco eolico (7 le pale previste) da 29,6 MW nel Mugello. Un progetto che ha ottenuto il sostegno degli ambientalisti di Legambiente, così come anche dei sindaci dei Comuni direttamente interessati (Vicchio e Dicomano), ma che si trova adesso ad affrontare i ricorsi avanzati al Tar dai comitati contrari.
È evidente dunque l’urgenza di investire in informazione e comunicazione ambientale di qualità, per fronteggiare le sindromi Nimby, così come la necessità di trovare meccanismi per massimizzare le ricadute socio-economiche positive sui territori coinvolti dalla presenza degli impianti.
«Una turbina eolica – documenta nel merito la lezione rivolta all’Arpat – ha degli impatti ambientali, come qualsiasi altro sistema energetico e/o industriale, ad esempio: rumore, impatto sulla flora e fauna sia terrestre che marina, vibrazioni, modifica del paesaggio. Tutti elementi talvolta esagerati e non in grado di giustificare un rallentamento nella corsa verso la transizione energetica».
In generale la Toscana «non è una regione ventosa, nonostante questo non manca la produzione di energia da fonte eolica, tanto da avere una discreta potenza eolica installata che salirà, a partire dal prossimo anno, con il nuovo parco del Mugello».
Ma le prospettive sarebbero rosee, nella nostra regione, anche per una tecnologia eolica particolarmente promettente e poco impattante, come quella dell’eolico offshore galleggiante.
A livello nazionale, il potenziale tecnico per l’eolico galleggiante arriva addirittura a 207,3 GW, quanto basta per creare una filiera da 1,3 mln di posti di lavoro e ricadute economiche da 255,6 mld di euro, oltre a produrre tanta elettricità da poter soddisfare 1,7 volte la domanda nazionale.
Tra gli elementi frenanti alla diffusione dell’eolico offshore ci sono però i porti: è qui infatti che viene svolta la maggior parte delle attività di assemblaggio, installazione e messa in funzione delle turbine galleggianti, ma al momento in Italia non esistono porti con i requisiti necessari. Ed è qui che la Toscana potrebbe giocarsi un jolly nella corsa alla transizione ecologica.
«Per fare eolico galleggiante – concludono nel merito dall’Arpat – abbiamo bisogno di porti dedicati in quanto le turbine off shore galleggianti si assemblano in porto e poi si trascinano nel luogo di ubicazione. Il nostro Paese ha molti porti riconvertibili: 10 in tutta Italia, 2 in Toscana».