scritto da Toscana Notizie
Il meeting degli studenti toscani a tu per tu con i testimoni dell’Olocausto
L’indifferenza che uccide, il falso mito degli italiani brava gente (e invece, più di una volta, complici dei nazisti tedeschi), la vita che alla fine sconfigge l’orrore e i suoi carnefici. E la richiesta di un’ammissione di colpa: il coraggio di fare i conti con il passato, per dire dire “eravamo dalla parte sbagliata”.
Al teatro della Compagnia di Firenze, la Regione Toscana, dove la fiaccola della memoria non si spegne mai, anche quest’anno si è fermata a ricordare l’inferno che furono i campi di sterminio tedeschi e l’annientamento, deciso e programmato a tavolino, di milioni di persone: ebrei, oppositori politici, rom e sinti, disabili, omosessuali, internati militari e tutta la categoria più varia dei cosiddetti ‘diversi’. Tre ore di racconti, tre ore di testimonianze di chi da quell’inferno è riuscito a salvarsi, in un modo o in un altro, e di chi ne ha raccolto la memoria e continua a portarla avanti.
Quest’anno sarebbe dovuto essere l’anno del treno della memoria. Ma va programmato mesi e mesi prima e per l’incertezza dovuta alla pandemia ancora in corso non è partito. L’ultima volta è stato nel 2019: undici viaggi in diciotto anni dal 2002 e settemila studenti a bordo, intervallati dal 2005 negli anni pari dal meeting fiorentino con i ragazzi delle scuole. Ed è quello che è successo anche quest’anno, in un teatro zeppo di ragazze e ragazzi fin sui palchi superiori e tantissimi altri, quattrocento cinquanta in sale e più di semila collegati in streaming da remoto.
Enrico Fink, musicista e membro della comunità ebraica fiorentina, canta “El male rachamim”, poesia spesso utilizzata come preghiera. Scorrono intanto sul grande schermo le immagini dei viaggi passati del treno della memoria toscano: Birkenau avvolto dalla neve, i nomi dei tanti morti nel campo sussurati nell’aria gelida di quel luogo di orrore dai coetanei toscani, gli studenti in treno a fare la spola avanti e indietro appesi al filo di parole dei sopravvissuti, per stringere una mano, per accarezzarli con gli occhi e per conservarne i ricordi. Da quel viaggio, che non è una gita e che inizia e prosegue sui banchi di scuola, si torna diversi. Lo ripetono tutti: magari senza risposte e solo con tante domande in testa, ma più consapevoli.
Ugo Caffaz, mente e cuore del treno della memoria toscano, parla della guera oggi in Ucraina, degli anni terribili delle deportazioni di massa durante la seconda guerra monidiale – 13 milioni di morti nei campi, un milione di loro i bambini - ma anche delle discriminazioni iniziate molti anni prima, anche in Italia, con il censimento degli ebrei e poi le leggi razziali del 1938. “Gli italiani di allora si possono dividere in tre categorie – spiega -: i complici, che furono più di quanto uno possa credere, i giusti (pochi e tanti allo stesso tempo e che rischiarono sulla loro vita) e gli indifferenti, per paura, per autodifesa o convinti che a loro non sarebbe successo niente e che sarebbe presto finiti, i quali si voltarono dalla parte opposta e furono i più”. Quell’indifferenza che ancora oggi costituisce uno dei pericoli maggiori e contro cui la memoria deve “farsi baluardo, perché confrontare aiuta a capire”.
Serve la memoria? Certo che serve: Auchwitz - per dirla con Primo Levi, lo scrittore sopravvissuto allo sterminio - è fuori di noi ma attorno a noi. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia”. Ancora oggi. Ben vengano dunque, come sottolinea l’assessore alla cultura della memoria Alessandra Nardini, le pietre d’inciampo o iniziative come quella di stamani, “che danno un volto e un nome a quella tragedia e ci spingono a farci domande”. Per impedire che di quello sterminio, una volta venuti meno i sopravvissuti, rimanga solo una riga sui libri di storia e poi neppure più quella. Per “alimentare una staffetta generazionale della memoria, contro il revisionismo e negazionismo”. Con gli studenti “giovani sentinelle della memoria”. “Occorre trasmettere il senso della memoria senza che il tempo l’attenui - rimarca il presidente della Toscana, Eugenio Giani – perché quello che è accaduto è sicuramente stato uno dei momenti più bui e bassi della civiltà umano”. “Per questo – aggiunge - con orgoglio abbiamo voluto a Firenze il memoriale degli italiani ad Auschwitz: almeno un milione di persone sono state coinvolte nella catena di morte dei campi di sterminio e non lo dobbiamo dimenticare”. “Le istituzioni – sottolinea Antonio Mazzeo, presidente del Consiglio regionale della Toscana - devono diventare amplificatori della memoria” aggiunge.
“Attenzione a dare la responsabilità solo agli altri, perché poi ad un certo punto ci ritrovaiamo davanti allo specchio” ammonisce il giovane Bernard Dika, portavoce del presidente Giani, citando l’articolo 3 della Costituzione italiana, quello che celebra l’uguaglianza di tutti i cittadini e dice che è compito della Repubblica rimuovere tutti gli ostacoli che limitano di fatto quell’eguaglianza e libertà. “La Repubblica – spiega – siamo tutti noi e dobbiamo guardare alla futuro con speranza: la speranza di Sant’Agostino, fatta non solo di attesa ma che ha due bellissimi figli, lo sdegno e il coraggio”.
Sdegno e coraggio che devono diventare le lenti con cui guardiamo al mondo che ci circonda. Perchè dopo la seconda guerra mondiale, ricorda lo storico Luca Bravi, conduttore dell’evento al Teatro della Compagnia, tante altre guerre si sono susseguite. E dopo Auschwitz altri stermini ci sono stati. Anche vicino a noi. A Sebrenjca ad esempio, nella ex Yugoslavia: meno di trenta anni fa, nel 1995.
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