scritto da greenreport.it
Per reggere l’urto servono più energie rinnovabili e meno sprechi alimentari, oltre a sostegni diretti ai soggetti più fragili
Il prezzo del cibo continua a crescere, anche in Toscana, sull’onda di un’inflazione che non accenna a rallentare. Si parla di 564 euro in media in più a famiglia – arrivando così a 900 mln di euro sul territorio regionale –, secondo le stime elaborate da Coldiretti sulla base dell’indice Nic dell’Istat.
L’inflazione generale in regione ha infatti già raggiunto l’8%, superiore al dato nazionale (7,9%) mentre l’indice che fa riferimento ai prezzi medi dei generi alimentari è arrivato al 10,2%. È Firenze la città dove l’incremento progressivo del livello medio generale dei prezzi è maggiore (8,6%) seguita da Arezzo e Grosseto (8,3%). L’inflazione più bassa, al di sotto del dato nazionale e regionale, si registra in provincia di Massa Carrara (7,2%), Livorno (7,4%) e Lucca (7,5%).
È questo il risultato ultimo di un’inflazione che, come spiegato recentemente dalla Bce, è trainata da una doppia crisi: quella energetica e quella climatica, entrambe fattori di rialzo dei prezzi legati all’impiego di combustibili fossili come il gas.
«Ci aspetta un autunno caldo. Per molti toscani, soprattutto per coloro che vivono in una condizione economica già precaria, riempire il carrello sarà sempre più complicato con molte persone che saranno costrette a fare ricorso alle mense dei poveri e molto più frequentemente ai pacchi alimentari», spiega Fabrizio Filippi, presidente Coldiretti Toscana.
Secondo l’associazione regionale degli agricoltori la categoria per la quale le famiglie spenderanno complessivamente di più è il pane, pasta e riso, con un esborso aggiuntivo annuale di quasi 115 euro, e precede sul podio carne e salumi che costeranno 98 euro in più rispetto al 2021 e le verdure (+81 euro); seguono latte, formaggi e uova con +71 euro e il pesce con +49 euro, davanti a frutta e oli, burro e grassi.
Se i prezzi per le famiglie corrono l’aumento dei costi colpisce duramente l’intera filiera agroalimentare a partire dalle campagne dove l’11% delle aziende agricole è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività, e il 38% si trova comunque in reddito negativo per effetto dell’aumento dei costi di produzione. In agricoltura si registrano infatti aumenti dei costi che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi al +129% per il gasolio.
Sotto questo profilo, è dunque evidente la necessità di abbattere i costi producendo internamente l’energia e i concimi necessari (ad esempio impiegando agrivoltaico e biometano, quest’ultimo con potenzialità pari a 2-3 mld mc di gas l’anno da Forsu e 8 da matrici agricole, con annesso uso del digestato/compost), oltre a rivedere il numero di capi allevati – a partire dagli allevamenti intensivi – per ridurre sia la necessità di mangimi sia l’impatto ambientale degli allevamenti.
Per ridurre invece l’impatto dei prezzi alimentari sulle tasche delle famiglie, oltre a intervenire con adeguati strumenti economici a supporto dei soggetti più fragili, è importante partire dalla riduzione degli sprechi di cibo: in Italia ammontano almeno a 7,37 mld di euro l’anno a livello domestico, arrivando 10,5 mld di euro guardando anche allo spreco di filiera (produzione/distribuzione).
Allargando il quadro d’osservazione fino ai confini del rapporto tecnico pubblicato sul tema dall’Ispra – l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale –, dove lo spreco alimentare come «la parte di produzione che eccede i fabbisogni nutrizionali e le capacità ecologiche», risulta che nella “virtuosa” Italia «almeno il 60% circa in energia alimentare della produzione primaria edibile destinata direttamente o indirettamente all’uomo potrebbe essere sprecata». In altre parole, ogni 100 calorie di alimenti destinati al consumo umano, 60 sono sprecate: più della metà. Un dato che impone una rivoluzione dei sistemi alimentari così come oggi concepiti, per essere superato.