scritto da greenreport.it
La questione non è se si è pro o contro la loro presenza sull’isola, ma quella di valutare significato e valore genetico che i mufloni rappresentano
Nell’articolo La rimozione delle specie invasive dalle isole è un successo nell’88% dei casi l’autore, Piero Genovesi ricercatore Ispra, esalta quello che a suo dire sarebbe uno strumento fondamentale per la conservazione degli ambienti insulari, e cioè l’eradicazione delle specie invasive.
L’articolo si basa su una ricerca (coautore lo stesso Genovesi) pubblicata dalla rivista Scientific Reports, in cui si riassumono i successi ottenuti per mezzo di questa pratica durante l’ultimo secolo.
Posto che l’invasione degli ecosistemi da parte di specie alloctone è considerata fra le cause più importanti della perdita di biodiversità e che gli ambienti insulari sono i più vulnerabili, purtuttavia un approccio “rigido” può rivelarsi dannoso, poiché molti ecosistemi originari sono andati irrimediabilmente perduti migliaia di anni fa.
Secondo l’articolo di Genovesi l’80% di tutte le eradicazioni è stato realizzato in soli otto Paesi: Nuova Zelanda, Australia, Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Messico, Seychelles ed Ecuador, nazioni che dispongono di innumerevoli isole negli oceani Indiano, Pacifico ed Atlantico, la maggior parte delle quali ha conosciuto l’ingerenza antropica solo in tempi relativamente recenti (XVI-XVII secolo).
Il discorso però cambia radicalmente quando ci si trova a che fare con la geografia mediterranea dove, nella stragrande maggioranza dei casi, è impossibile ricostruire gli ecosistemi insulari del passato, andati distrutti migliaia di anni fa con la conseguente estinzione dei mammiferi endemici.
Di fatto, non esiste probabilmente un’altra regione al mondo così profondamente modificata dall’attività umana che, nel corso degli ultimi 12-14.000 anni, ha alterato in profondità la composizione delle biocenosi primarie, non risparmiando alcun ecosistema. Pertanto a noi sembra che ogni isola debba essere trattata come un contesto peculiare.
I progetti Life che, ai fini della «riabilitazione ambientale» dell’isola di Pianosa nell’arcipelago toscano, prevedevano l’eradicazione, insieme ai ratti, anche di tutte le lepri, i ricci europei, le pernici rosse, le coturnici (e i loro incroci), e i fagiani, sono dei perfetti case studies.
L’eradicazione dei lagomorfi era già iniziata quando alcuni ricercatori si accorsero, mediante uno studio genetico, che la popolazione locale era costituita da una rara sottospecie della lepre europea che popolava anticamente l’Italia centro-settentrionale continentale, dove oggi è da considerarsi praticamente estinta. Di conseguenza, il programma di eradicazione della lepre è stato – per fortuna! – interrotto.
Ma, a Pianosa, la lepre non ha mai fatto parte dell’endemica fauna quaternaria originale, composta fra l’altro da cervi nani e buoi nani; fauna oggi, tra l’altro, impossibile da ricostituire.
Uno scenario opposto coinvolge la futura sorte dei mufloni che ancora vivono sull’isola del Giglio, sempre nel Parco nazionale dell’Arcipelago toscano.
Invece di occuparsi del contenimento dei ratti o di altre specie “realmente invasive”, il progetto Life LetsGoGiglio, attualmente in corso, ha preferito dedicarsi ai mufloni presenti sull’isola, decretandone l’eradicazione sempre con la motivazione della “riqualificazione ambientale”.
Il problema, però, è che – a quanto ci risulta – nessuna ricerca è mai stata condotta sul Giglio per supportare una simile decisione. Non esistono studi scientifici sull’impatto ecologico che questa pecora selvatica ha sull’ambiente naturale dell’isola né, tanto meno, sull’agricoltura locale (i danni lamentati dai coltivatori sono praticamente inesistenti), ma soprattutto non si sa quanti animali vivano – o siano finora vissuti – sul Giglio, dal momento che un censimento non è mai stato effettuato.
Intorno alla metà degli anni cinquanta del secolo scorso, fu raccolto sul Giglio un nucleo di mufloni per iniziativa di alcuni dei più importanti zoologi italiani dell’epoca (Alessandro Ghigi, Augusto Toschi, Renzo Videsott e Ugo Baldacci), preoccupati che la specie fosse ormai prossima all’estinzione in Corsica e Sardegna. Da allora, gli animali sono stati ospitati in una zona recintata del promontorio del Franco da cui, negli ultimi decenni, alcuni individui sono fuoriusciti a causa dell’incuria e dei vandalismi subiti dalla recinzione.
Come Società riteniamo che in mancanza di studi adeguati, l’eradicazione in corso potrebbe equivalere alla irrecuperabile perdita di elementi biologici con caratteri fenotipici e genetici peculiari, forse non più disponibili nell’originale popolazione sarda di provenienza. Come appare recentemente dimostrato dalla ricerca Le isole come capsule temporali per la conservazione della diversità genetica: Il caso del muflone dell’Isola del Giglio, appena pubblicata dalla rivista internazionale Diversity.
La nostra forte perplessità rispetto a questa eradicazione “affrettata”, più che una posizione tout court a favore dei mufloni del Giglio (lungi da noi ogni posizione ideologica sull’argomento!), vuole ribadire la necessità di un approccio seriamente scientifico. La questione non è se si è pro o contro la loro presenza sull’isola, ma quella di valutare significato e valore genetico che i mufloni rappresentano.
Poniamo un problema al mondo della scienza e della conservazione: si può decretare l’eradicazione di una specie da un determinato ambiente senza prima averne studiato la genetica, le dimensioni del popolamento, l’incidenza sulla capacità di carico locale e gli eventuali danni – ammesso che ve ne siano – arrecati alle attività agricole ed umane, ovvero la cosiddetta human dimension?
di Corradino Guacci, presidente della Società italiana per la storia della fauna