L’intervento di Giovanni Frangioni ha riacceso il dibattito sull’istituzione dell’Area Marina Protetta dell’Arcipelago Toscano, ma dispiace leggere che, a distanza di tanto tempo (1982, 39 anni) da quando lo Stato Italiano ha deciso di istituire l’Area marina protetta dell’Arcipelago Toscano e a 30 anni dall’approvazione (all’unanimità) della legge 394/91 sulle Aree protette
, rimanga così grande la disinformazione e la confusione su questo strumento e le realtà che già lo applicano, tanto che si leggono ancora interventi “interessati” che puntano a disinformare i cittadini oppure di chi asserisce di aver fermato da solo l’istituzione dell’Area marina protetta a mani nude, mentre in realtà si tratta di uno scandaloso esempio – a livello internazionale – di vigliaccheria politica e di infingardaggine burocratica che l’Italia
non potrà protrarre per sempre perché sarà chiamata a rispettare la nuova direttiva Europea Biodiversità che prevede che venga protetto con aree marine il 30% del mare nazionale. Lo stesso chiede la Convention on Biological diversity dell’Onu con il nuovo quadro per la biodiversità che l’Italia ha contribuito a realizzare..
Erroneamente, o volutamente, si continua a far confusione contrapponendo Aree di tutela biologica e Aree marine protette come se fossero due strumenti di gestione intercambiabili e alternativi. Non è così. Ci troviamo quindi costretti a riproporre quanto scrivemmo nel gennaio 2021, dopo le deliberazioni di alcuni Enti locali elbani, basate su “sentito dire” e che sin sono dimostrate pura propaganda politica priva di fondamento prive di fondamento normativo e che non reggono a verifiche.
E’ un intervento, forse un po’ lungo ma è necessario leggerlo tutto per evitare di parlare e persino deliberare a vuoto.
Recentemente anche i Comuni di Porto Azzurro e Campo nell’Elba hanno fatto, con atti ufficiali, dichiarazioni errate sui possibili pericoli delle Aree marine protette per il turismo – che invece è in crescita in praticamente tutte le 30 aree marine protette istituite in Italia – e la pesca, che invece per i pescatori locali si sta rivelando molto più fruttuosa e “sicura” dove ci sono aree marine protette ben gestite.
Le Aree Marine Protette (AMP) non precludono la pesca nelle zone C e D (la grande maggioranza per estensione) e per alcuni attrezzi e pesche a volte anche nella zona B, si pesca, e si sono mostrate efficaci per l’incremento di biodiversità e biomassa. Aree marine protette come Torre del Cerrano, in Abruzzo, di Torre Guaceto, in Puglia, e Capraia nell’Arcipelago Toscano hanno sperimentato con successo attività di gestione della pesca, creando nuove opportunità di mercato per la piccola pesca artigianale locale e, nel caso di Capraia, anche di acquacoltura sostenibile.
In base all’ultimo aggiornamento (D.M. 22/01/2009) nei mari italiani ci sono 12 Zone di Tutela Biologica (ZTB), come si può oggi configurare l’Area di tutela biologica delle Ghiaie – Scoglietto – Capo Bianco – istituita all’Elba nel 1971 – che somiglia molto a una zona “Entry no-touch” di una zona A/B di una AMP – e affidata alla Capitaneria di Porto, non al Comune di Portoferraio.
Come evidenzia il Comitato TAG Costa Mare, le Zone di Tutela Biologica ZTB sono tratti di mare riconosciuti in base a studi tecnico-scientifici come aree di riproduzione o accrescimento di specie marine di importanza economica, o come aree impoverite da un eccessivo sfruttamento dalle attività di pesca (DPR 1639/1968). A differenza delle Aree Marine Protette (AMP), le ZTB rappresentano misure gestionali volte più alla conservazione degli stock ittici di quelle specie che hanno un interesse commerciale, piuttosto che alla conservazione della biodiversità, del capitale naturale e dell’integrità degli ecosistemi marini. Le ZTB non hanno quindi scopi più ampi di conservazione, tutela e gestione sostenibile dell’ecosistema marino.
le ZTB sono infatti strumenti di regolamentazione non alternative ma complementari alle Aree Marine Protette, come già sottolineato in più occasioni dalla comunità scientifica e dal biologo marino Roberto Danovaro, presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, che qualche giorno fa la prestigiosa piattaforma Expertscape ha definito il miglior scienziato mondiale nella ricerca relativa a mari e oceani per il decennio 2010-2020.
A chi vuole Zone di Tutela Biologica in contrapposizione all’Area marina protetta “calata dall’alto” (dopo 39 anni? Sic!), ricordiamo che – al contrario delle Aree Marine Protette che sono affidate in gestione ai Comuni o, dove c’è, al Parco Nazionale, nel quale i Sindaci (anche se fanno sempre finta di non saperlo) hanno la metà dei componenti del Consiglio Direttivo e 10 rappresentanti su 11 in Comunità del Parco – le Zone di Tutela Biologica sono definite dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, senza gestione, e non dai Comuni (che non hanno competenza diretta sulla tutela del mare) come si vorrebbe far credere agli elbani, pensando che abbiamo l’anello al naso.
Invece, si continua a presentare le Zone di Tutela Biologica come uno strumento alternativo all‘Area Marina Protetta e istituito, perimetrato e gestito dai Comuni. Un’affermazione tanto falsa quanto più volte ripetuta, purtroppo anche da Sindaci e Associazioni.
AMP e ZTB Sono due strumenti differenti che hanno scopi differenti e che, tra l’altro, potrebbero anche coesistere. Non a caso nell’AMP di Miramare (Trieste) la ZTB costituisce una zona di protezione esterna.
A differenza dell’Area di tutela biologica di Portoferraio, le ZTB sono ormai soprattutto aree di mare aperto, di solito molto ampie, regolamentate legislativamente e istituite dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, per salvaguardare e ripopolare le risorse marine in relazione alla necessità di avere una costante presenza di prodotto per una migliore gestione economica della pesca.
Per le ZTB non è prevista nessuna forma di gestione locale. Non è prevista, infatti, alcuna politica di valorizzazione dei luoghi e tantomeno di salvaguardia naturalistica per motivi legati alla tutela della biodiversità. Conseguentemente le ZTB non hanno collegamenti con i settori del turismo e della fruizione del mare a fini diportistici e ricreativi. La ricerca scientifica che vi si svolge è finalizzata al miglioramento della produzione ittica e poche sono le opportunità di avere risorse, anche solo per ricerche scientifiche o per mettere una boa.
Nulla a che vedere quindi con l’istituzione di una AMP, che, invece costituisce uno strumento di pianificazione e programmazione che investe tutta la comunità per migliorare lo sviluppo locale in termini di sostenibilità. Nulla vieta, comunque, se proprio ci si tiene tanto, ad avere una ZTB e che l’Area Marina Protetta ne possa avere una adiacente, ampia come si addice ormai a questo tipo di strumento, che regoli l’attività di pesca dal bordo esterno dell‘AMP per 3 miglia verso il largo, in modo da creare una “buffer zone“, una zona cuscinetto per le attività di pesca industriale, quello che la legge quadro sulle aree protette n.394/1991 definisce “Aree Contigue“ o che ora vengono chiamate zona D, come a Capraia.
Con l’approvazione della legge quadro 394/91 sulle Aree Protette, le vecchie Aree di tutela biologica a mare hanno perso qualsiasi valore normativo esclusivo, infatti l’Area di tutela biologica di Pianosa, che ricalcava la fascia di rispetto carcerario a mare, nel 1997 è stata ampliata con un Decreto governativo a un miglio ed è stata affidata immediatamente al Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano (non al Comune di Campo nell’Elba). Lo stesso è successo per Montecristo e per le altre ZTB dell’Arcipelago dove il DPR istitutivo ha istituito protezioni a mare. Inoltre, la stessa nuova normativa Regionale sulle aree protette ha eliminato le Aree naturali protette di interesse locale (Anpil) a terra, figuriamoci a mare dove le competenze sono statali ed europee con i Siti di interesse comunitario/Zone speciali di conservazione (SIC – Zsc) che – se attuate e ben gestite – superano e integrano le Aree di tutela biologica.
Inoltre, il recente studio “Rating the effectiveness of fishery-regulated areas with AIS data”, pubblicato su Ocean & Coastal Management da Tassetti, Ferrà e Fabi dell’Istituto per le Risorse Biologiche e le Biotecnologie Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IRBIM CNR), commissionato dal Ministero Politiche Agricole Alimentari e Forestali per valutare gli effetti delle ZTB nei mari italiani, ha evidenziato che «Sulla base dei dati disponibili non si è evinto un evidente effetto positivo delle ZTB sulle risorse ittiche, fatta eccezione per sporadici casi di alcune specie (ad esempio la triglia) in solo due delle dodici ZTB. Lo stesso studio suggerisce che tale inefficacia potrebbe essere il risultato, pur se in un quadro di carenza di monitoraggi scientifici appropriati, del comprovato “non rispetto” dei divieti posti in essere. Infatti, per la prima volta è stata valutata, tramite l’utilizzo dei dati di tipo “AIS” (ovvero il sistema automatico di identificazione e tracciamento utilizzato in ambito navale), l’efficacia delle misure di gestione e normative applicate alle ZTB con particolare riferimento alle attività di pesca a strascico. Eccetto la ZTB Miramare (attigua a un’Area marina protetta e gestita dall’AMP, ndr), tutte le altre ZTB sono risultate soggette ad attività di pesca a strascico illegale».
Invece, il recentissimo studio “Ecosystem Approach to Fisheries Management Works: how switching from mobile to static fishing gear improves populations of fished and non-fished species inside a Marine Protected Area”, pubblicato sul Journal of Applied Ecology da un team di ricercatori della School of Biological & Marine Science dell’università di Plymouth, dimostra che «La protezione delle aree dell’oceano e delle coste con lo status di Area Marina Protetta (AMP) “whole-site” può comportare un aumento di 4 volte (430%) dell’abbondanza e della diversità delle popolazioni ittiche».