fonte L'ARGENTARIANA rivista di Cultura del Centro Studi Don Pietro Fanciulli.
scritto da Claudio Mollo giornalista e critico enogastronomico.
Ansonica è corretto, “Ansonaca” è gigliese! Come il modo di “produrlo in casa”, volendo usare questo abbinamento, un modo “tutto gigliese” che nel tempo è diventato quasi leggenda. Tanti i turisti e gli amici degli isolani, che lo ricordano ancora a distanza di anni, per le sonore sbornie prese e portate avanti per tutto il giorno dopo, almeno.
Per rendere omaggio a un’antica tradizione, che al Giglio ha sempre avuto un suo particolare fascino. Più era forte e maggiore era l’orgoglio di chi lo produceva, allappante all’inverosimile, era ed è tutt’ora, parlo di quello “artigianale”, in grado di farti grippare la lingua al palato per una concentrazione di tannini degna di essere raccontata a veglia. Ma nonostante tutto il vino Ansonica del Giglio, negli anni è praticamente diventato leggenda.
Ma come mai, allora tutti questi “problemini”? Semplice, perché veniva fatto senza seguire canoni e dettami dell’enologia più comune. È sempre stato fatto come riusciva a ciascuno, senza fare attenzione al momento migliore per raccogliere l’uva, senza sapere se tutta l’uva presente era davvero Ansonica e quindi maturava in tempi diversi, senza temperatura controllata durante la fermentazione e diverse altre mancanze, che non venivano proprio prese in considerazione. Ma era normale così, e purtroppo di padre in figlio, più che tramandare i segreti su come farlo, venivano tramandati soprattutto i difetti. Ecco che alla fine un bel vino aranciato, a tratti marroncino leggero, con una gradazione da vino liquoroso, allietava in un primo momento i palati degli stessi produttori o degli ignari ospiti e subito dopo li castigava con ritorni di alcool e cerchi alla testa che pochi hanno dimenticato.
L’Ansonica, tanto per dire due parole sulle origini di questa uva, è un antico vitigno autoctono siciliano, che si è poi diffuso anche in altre regioni italiane ed in particolare in Sardegna, Lazio e Toscana. Il vitigno è molto resistente anche ai climi siccitosi ed ha una foliazione piuttosto scarsa che richiede un minor assorbimento d’acqua, aspetto questo che lo rende particolarmente adatto alle coste e ai terrazzamenti assolati. Il grappolo è conico e l’acino è ovoidale, di un colore giallo marcato. È un’uva difficile da gestire in purezza e spesso viene abbinato ad altre tipologie di uve in piacevoli blend, che ammansiscono non poco la sua personalità. Al palato è generalmente un vino di buona acidità, piacevolezza e sapidità, tendente alla mineralità, con sensazioni balsamiche.
Ma torniamo al vino del Giglio, la voglia di cambiare e di fare meglio, covava già da un po’ tra i gigliesi, alcuni dei quali hanno iniziato a muovere i primi timidi passi verso la produzione di un vino tecnicamente corretto, in linea con la tipicità del vitigno utilizzato, in grado di offrire anche riscontri commerciali concreti. E da un certo momento in poi, tanti terrazzamenti dell’isola sono tornati alla vita, oggi ricoperti di bellissime vigne, grazie all’intraprendenza degli isolani più coraggiosi e di altre persone, forestieri, che si sono innamorate di questa isola, di questa uva difficile, di questo vino così particolare. Alcuni di loro, già produttori di vino, che hanno visto nel Giglio una potenzialità enologica interessante, e unica, forti di esperienze personali, già messe in atto, ad esempio, nel Chianti, nel Bol- gherese o in altre parti d’Italia.
In poco tempo, si passa dal totale “fai da te”, allo studio dei vitigni presenti, a serie valutazione dei vari terreni, entrano in gioco tecnici ed esperti, analisi di laboratorio e altre mosse che chiunque intenzionato a produrre un buon vino deve necessariamente mettere in atto.
Il vecchio stile lascia il posto alla nuova enologia, fatta di vini vinificati in purezza o in uvaggio, affinati in acciaio, in legno o addirittura in anfora; che ciascun produttore cura e segue in modo maniacale per arrivare ad avere prodotti unici.
Ce n’è per tutti i palati, esperti e meno esperti: dalla vinificazione più classica, con vini leggermente fruttati dal sapore asciutto, morbido, vivace e armonico a quelli più impegnativi, affinati in legno, che offrono al naso e al palato esperienze olfattive e gustative decisamente diverse, più intriganti, più sfaccettate, adatte però a chi è abituato a vivere il vino nelle sue tante diversità e sfumature.
La scelta di etichette nei negozi dell’isola non manca, buona la presenza anche in diverse enoteche della Toscana e anche il commercio on line dà i suoi frutti. Sempre più persone sono attratte e incuriosite dal vino Ansonica del Giglio e lo cercano, per provare, per conoscere, nuovi piaceri di palato, scoprendo così, anche quanto lavoro è stato fatto per portare alla ribalta uno stile di vita gigliese, che dovrà essere sempre più valorizzato.
Tanto ancora si potrebbe dire riguardo questa uva e questi vini, il rischio però, sarebbe quello di dilungarsi troppo in racconti e aneddoti o entrare troppo in tecnicismi e aspetti sensoriali difficili da comprendere per chi è digiuno del mondo vino, ma rimane l’invito, a tutti gli appassionati di vino, di vivere una bellissima esperienza con l’Ansonica gigliese, direttamente sul campo, passando dalla più schietta tradizione, alle più recenti produzioni, magari durante una vacanza, oppure nell’ultimo fine settimana di settembre, quando al Castello si organizza la “Festa dell’Uva” con tutte le porte delle cantine aperte. Un appuntamento non da perdere, per un vino tutto da conoscere!
Nelle immagini i vigneti dell’Azienda
“Castellari Isola del Giglio”