ArmandoSchiaffinotratto da L'Argentariana rivista di cultura del centro studi Don Pietro Fanciulli

Le fonti scritte per una ricostruzione della storia ita­liana dei secoli successivi alla caduta dell’Impero Ro­mano sono notoriamente molto scarne: di conseguenza risulta facilmente comprensibile come le vicende delle isole dell’arcipelago toscano dal V al IX secolo d.C. si­ano pressoché sconosciute.

Una delle rarissime notizie del periodo è riportata da Sebastiano Lambardi il qua­le afferma che Celtenso o Celtendo, scrittore Goto, nel 530, parlando delle cose mirabili dell’Elba scriveva che Sarpedone re di Licia e Panfilia, venuto con armate in Italia, visitò l’Elba, la Pianosa e il Giglio.[1] Un’altra rara ma interessante informazione su tale epoca ci viene of­ferta da Pietro Raveggi, che in un suo scritto del 1919 cita il ritrovamento, a Giglio Porto, di una moneta d’oro del periodo bizantino[2] Qualsiasi altra notizia deriva solo da fonti agiografiche, cioè concernenti le vite dei Santi, dato che molti studiosi affermano che le isole fossero sede di una intensa attività monacale.[3]

Nel brano riportato di seguito, tratto da un articolo della Rivista di Archeologia Cristiana la dottoressa Pa­ola Rendini, all’epoca funzionario della Soprintenden­za Archeologica della Toscana, descrive con precisione e rigoroso distacco scientifico il periodo di passaggio, dell’isola del Giglio, dall’età imperiale ai primi secoli del cristianesimo: L’isola del Giglio apparteneva in antico ai Domizi Enobarbi e conserva i resti di una villa e di un approdo in corrispondenza del porto attuale, in località Bagno del Saraceno. Il complesso risale al I secolo a.C., con ampliamenti della prima età imperiale; scavato agli
inizi del secolo e oggetto di scavi sistematici negli ultimi anni, risulta occupato almeno fino al IV secolo d.C. e riusi parziali come area di necropoli sono attestati fino al VII secolo.

L’origine di un insediamento monastico sull’isola viene fatta tradizionalmente risalire alla fine del V secolo, tra­endo spunto dalle notizie leggendarie sulla vita di San Mamiliano, il quale, essendosi ritirato sull’isola di Mon- tecristo, sarebbe poi stato sepolto su quella del Giglio. Da un’altra fonte agiografica, la Passio Nynphae, opera composta verso il X secolo e giudicata dagli studiosi più attendibili “semplice prodotto della fantasia dell’agio- grafo”, si apprende che Mamiliano, Gobuldeo suo disce­polo e Ninfa si recarono all’isola del Giglio dove rimase­ro in solitudine e in preghiera sia di giorno che di notte.

In realtà le uniche notizie certe di un legame dell’iso­la con un monastero risalgono all’805, quando essa ri­sulta appartenere al patrimonio dell’Abbazia delle Tre Fontane di Roma.

Ricognizioni condotte sull’isola nel 1968 dall’Istitu­to di Archeologia di Firenze con l’Università di Santa Cruz, hanno segnalato una concentrazione di materiale di età medievale nella zona centrale dell’isola, con re­sti di strutture pertinenti probabilmente a fortificazioni; un’indagine ulteriore su tali evidenze, in particolare, potrebbe forse chiarire se l’isola fu effettivamente fre­quentata in età tardoantica e altomedievale, oppure se costituì solo un punto di sosta nella navigazione o se, al pari di altre isole minori, ospitò piccoli insediamenti, monastici o meno, anteriori al IX secolo.[4]

Padre Michele Marinelli in un suo studio scrive: ...i seguaci di San Mamiliano furono Convuldio, Istochio, Infante e Proculo; costoro, nella quasi totalità a noi giunti con nomi corretti, nel VI-VII secolo erano cono­sciuti in qualche isola del Tirreno e legati al movimento

 

giglioportofine800

 Giglio Porto a fine ’800

monastico: essi si trovano poi uniti a San Mamiliano: volere sapere di più non sembra possibile.... e ancora .... ora tutto questo non ci permette di concludere po­sitivamente né sul sepolcro né sulla durata della per­manenza al Giglio. Sembra però probabile che anche il Giglio debba ritenersi un centro di culto di San Mami- liano: possibile anzi che ciò sia dovuto a presenza di re­liquie ivi esistenti già nel VII secolo. Successivamente, o perché richieste o perché portate via, esse toccano il continente in non pochi luoghi. Certo che la venerazio­ne e il culto dei Gigliesi verso San Mamiliano presenta­no note di antichità. Per questo non mi sembra di poter scartare in blocco quanto le fonti agiografiche vengono a dire, anche se non si producono prove ...5

Estremamente significativo in proposito anche il contenuto di una lettera dell’8 ottobre 2004 di Don Ippolito Corridori, autore di un ponderoso studio sul­la materia, a un altro insigne studioso, Don Vittorio Burattini, dove viene riferito che nell’Annuario 1971 della Diocesi di Grosseto viene riportato che a Giglio
Porto, oltre a una “chiesina” in Via San Lorenzo, sino al 1915 esisteva anche una “Cappellania di San Ma- miliano”. Fu il vescovo Mons. Galeazzi, con decreto 1 ottobre 1935 a riunire in un unico beneficio le due cappellanie, elevandole a Parrocchia del Porto; resa autonoma da quella di San Pietro al Castello, veniva riconosciuta civilmente dallo Stato in data 10 agosto 1936. Viene quindi da pensare ad un’antica Cappella dedicata a San Mamiliano, il Santo del Giglio, esistente nel territorio adiacente al Porto. Scomparso l’edificio sacro ne era continuata l’istituzione o fondazione inclu­dente un proprio beneficio ecclesiastico.

Il culto del Santo al Giglio è antichissimo, anterio­re certamente a quello di Sovana. Ovviamente, detto culto aveva un suo centro particolare, una cappella, una chiesa, un santuario nella località “ad Sanctos” presso il Porto.

Una campagna di scavi nell’isola potrebbe portare a ri­trovamenti prestigiosi. Io ne sono convinto. Il Santo, vis­suto da monaco a Montecristo e sepolto al Giglio presso il sepolcro di tre santi suoi confratelli ebbe, ovviamente, un centro di culto importantissimo. In epoca longobarda o carolingia, trasferite a Sovana le sue reliquie per salvarle dalle incursioni piratesche, il Santuario gigliese trovò la

ruderilocalitalabredici

Isola del Giglio, ruderi in località “Le Bredici

sua decadenza e quindi la sua scomparsa. La memoria tuttavia rimase viva nei secoli successivi.

A questo incerto quadro sulla antica presenza di mo­naci all’isola del Giglio, sembrano poter portare un qualche elemento di chiarezza alcuni recenti studi sulla storia della Sardegna. Sembra infatti che nella “Fran­ca di Girifai” (una “enclave” dotata di autonomia po­litico-amministrativa e tributaria, situata nel territorio dell’attuale provincia di Nuoro e risalente al periodo Bizantino, nata per evitare che vasti possedimenti sardi e la stessa Sardegna tornassero nella sfera religiosa della chiesa greco-ortodossa e all’Impero d’Oriente) si fossero insediati monaci benedettini e cistercensi. La Franca fu sede di tre importanti monasteri, fra cui il Monastero di San Giovanni Battista “Su Lillu”, presunta precettoria templare dipendente da un monastero, detto di San Gio­vanni, situato all’isola del Giglio, collegato all’Abbazia San Giovanni a Orbetello, a loro volta emanazione del cenobio cistercense di Aquas Salvias o Abbazia delle Tre Fontane di Roma. Tali monasteri, veri centri propulsivi del territorio, tenevano contatti marittimi con la naviga­zione sottocosta, con Bonifacio e con le isole dell’arci­pelago toscano e di Ponza. I traffici da Girifai partivano per il monastero madre dell’isola del Giglio e di Orbe- tello servendosi dell’ausilio logistico del vicino porto di san Giovanni Portu Nonu (l’attuale Cala Gonone) e dei vascelli degli ordini ospedalieri. Questi monaci furono legati agli ordini cavallereschi impegnati nelle Crocia­te (Templari, Giovanniti, Lazzariti ecc). Nel tempo, tali attività vennero a confliggere con gli interessi della Re­pubblica Marinara di Pisa (ghibellina) che guardava con sempre maggiore preoccupazione alla autonomia e al potere politico delle abbazie pontificie che interferivano con i suoi interessi nel Lazio settentrionale, nell’arcipe­lago toscano e in Sardegna. In tale contesto storico si verificò il passaggio dell’isola del Giglio sotto il dominio degli Aldobrandeschi e, successivamente, della stessa Repubblica di Pisa con la conseguente scomparsa, nel XII secolo, del locale monastero.

Anche se al Giglio la forte antropizzazione e la mo­nocoltura vitivinicola dei secoli successivi al XII ha praticamente cancellato quasi tutte le preesistenti emergenze territoriali di tipo architettonico, esistono dei resti di un possibile monastero verso la punta sud

LOrologioaorecanonichedellavecchiachiesadelPortoL’Orologio a ore canoniche della vecchia chiesa del Porto

dell’isola (località “Le Bredici”) e la stessa ex chiesa di Santa Trinità della rocca aldobrandesca risulta eviden­temente di dimensioni sproporzionate per essere stata una semplice cappella ad uso di una struttura militare: cosa che ha indotto vari studiosi a ipotizzare che l’inte­ra struttura fosse una volta un monastero.

Da quanto fin qui esposto, resta evidente che la presen­za di uno o più monasteri all’isola del Giglio in epoche antiche sia estremamente probabile, anche in assenza di prove documentali certe. Ha destato recentemente un notevole interesse l’osservazione che a Giglio Porto, su una parete esterna della vecchia chiesa ormai sconsa­crata in via San Lorenzo, sia ancora presente un cosid­detto “orologio canonico”. Per capire l’importanza della presenza di una “meridiana” di questo tipo su una pa­rete di una vecchia chiesa, sono necessarie alcune con­siderazioni preliminari. La “meridiana a ore canoniche” è un sistema antico di misura del tempo. È costituita da un’asta infissa orizzontalmente su una parete verticale che proietta la sua ombra su un semicerchio con centro alla base dell’asta (detta “ortostilo”) diviso di solito in dodici parti. Le “ore” segnate risultano evidentemente di durata diversa, essendo quelle estive più lunghe di quelle invernali. Quando, utilizzando questo strumento, si indicava una data ora (terza, sesta ecc.) non si indi­cava quindi un momento preciso, ma un intervallo di tempo. Il sistema delle ore inuguali è, ad esempio, quel­lo usato nel Vangelo. Una “meridiana” di questo tipo era ovviamente mal progettata, ma il fatto che le ore segnate avessero una durata effettiva diversa, non aveva grande importanza in passato: infatti tali “orologi” erano detti “canonici” proprio perché venivano costruiti soprattut­to nei conventi a partire dal VII-VIII secolo e avevano il solo scopo di indicare le ore delle funzioni che regola­vano la vita monastica.

Gli studiosi della materia sono concordi comunque nel ritenere che i primi orologi meccanici, destinati per loro natura a segnare ore sempre uguali, siano poi nati proprio nei monasteri in un’epoca imprecisata fra il 1100 e il 1200.

Per quanto detto, l’orologio a ore canoniche della vecchia chiesa di Giglio Porto, retrodata la costruzio­ne della stessa di molti secoli. Si può ragionevolmente affermare che i restauri e le ricostruzioni storicamente documentate degli anni 1687 e 1753 non abbiano mai riguardato la parete che, dopo tanti secoli, ancora con­serva il disegno della meridiana e il relativo ortostilo. Un primo argomento inoppugnabile sull’antichità del suddetto manufatto è che questo è ovviamente inutiliz­zabile da centinaia di anni, da quando cioè la settecen­tesca costruzione antistante ne impedisce l’esposizione solare.[3] Nella storiografia isolana, da quando nel XVIII secolo nacque e si sviluppò il centro abitato di Giglio Porto, la vecchia chiesa di San Lorenzo viene sempre indicata come succursale della parrocchia principale di Giglio Castello: in epoche anteriori risulta adibita prin­cipalmente a cappella per i servizi religiosi dei solda­ti della torre.[4] Ma la collocazione dalla parte opposta della spiaggia, lontana, scomoda e assolutamente indi­fendibile dai militari della torre in caso di incursione piratesca, rendono plausibile l’ipotesi di una precedente costruzione con diversa finalità: ovvero al servizio di un monastero ormai scomparso e di cui lo stilo rugginoso della meridiana “a ore canoniche”, su un muro a pochi metri di altezza, al principio dell’antica mulattiera che dal Porto ancora conduce a Giglio Castello, rappresenta una incredibile testimonianza della possibile e pregressa esistenza di un antico cenobio.

 

1. BIBLIOTECA DI STUDI VITERBESI, Atti del convegno “Il pa­leocristiano nella Tuscia” - Viterbo Palazzo dei Papi 16-17 giugno 1979; .... in una delle comunità monastiche che allora fiorivano ft- tissime nell’arcipelago toscano.

 

[2] CORRIDORI I., La Diocesi di Pitigliano Sovana Orbetello nella storia. Dalle origini ai nostri giorni, Tip. ATLA Pitigliano 2000 (e secondo volume nel 2004).

[3] Tale singolare situazione si è curiosamente verificata anche a Sie­na: la meridiana dei Fisiocritici costruita dall’ingegnere ferroviario Giuseppe Pianigiani nel 1848, indicava il mezzodì a tutta la città. Tale meridiana fu voluta dai Fisiocritici in ricordo della precedente costruita nel 1704, andata distrutta nel terremoto del 1798. Nel 1966 il foro gnomonico della meridiana fu oscurato dalla costruzione di edifici universitari, segnando la fine dello strumento. Dal 2002 il suo funzionamento è stato ripristinato grazie all’uso di una luce artificia­le che simulando il sole virtuale permette di mostrare ai visitatori il funzionamento dell’antico orologio, da Nicola Ulivieri, I segreti degli orologi solari, Youcanprint self - publishing 2016.

[4] Nel secolo XVII era sempre (la chiesa - nda) in stato di mace­ria, dappoiché nelle carte del Giglio troviamo che Lodovico Tartagli giudice e governatore sostituto, propose al Granduca Cosimo III di rifabbricarla perché i pescatori e il Castellano della torre del Porto non restassero privi dei servizi religiosi (da Bruno Begnotti, Isola del Giglio - Cronache del XIX secolo, Circolo Culturale Gigliese, Effequ, Orbetello 2009).

[1] LAMBARDI S., Memorie sul Montargentario e sui paesi prossimi, Tipografia Tofani, Firenze 1866.

[2] RAVEGGI P., Isola del Giglio - Le rovine romane del “Castellare” e del “Bagno del Saraceno”, Estratto dalle “Notizie degli scavi”, a. 1919, fasc. 10-11 e 12, pp. 275-279; CIAMPOLTRINI G., Due tremissi per San Mamiliano, in “Rivista Italiana di Numismatica”, vol. CXXI, 2020.

5. PONTIFICIA UNIVERSITAS LATERANENSIS, Padre Mi­chele Marinelli R.C.J., San Mamiliano Monaco, Circolo Culturale Gigliese 2000.

[4] RIVISTA DI ARCHEOLOGIA CRISTIANA, Città del Vaticano, LXXVI, 2000, n. 1-2, pp. 645-647.

   

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