fonte https://www.legambiente.it/
Dal mensile – Il decreto Milleproroghe del 2019 ha favorito la nascita delle prime comunità energetiche in Italia. Il recepimento della direttiva Ue Red II e i 2,2 miliardi del Pnrr possono far decollare autoproduzione e consumi collettivi, e abbattere le bollette
Magliano Alpi è un centro della provincia di Cuneo di poco più di duemila abitanti. Qui, il 18 dicembre 2020, è stata costituita la prima comunità di energia rinnovabile (Cer) d’Italia. Una realtà nata sotto forma di associazione: il prosumer, ovvero il soggetto che produce energia, la autoconsuma e allo stesso tempo la mette in condivisione, è il Comune; i soci un piccolo nucleo di famiglie, uno studio di liberi professionisti e un laboratorio artigianale. L’energia che viene messa in circolo proviene da un impianto fotovoltaico della capacità di 20 kWp, installato sul tetto del palazzo del municipio subito dopo il primo lockdown dovuto alla pandemia.
Da quando il decreto Milleproroghe del 2019 ha dato avvio a una prima fase di sperimentazione, di esperienze come quella di Magliano Alpi nel nostro Paese ne sono nate circa una ventina. Secondo una mappa disegnata nell’Energy strategy report 2021 sono state costituite 21 comunità energetiche (con una potenza media degli impianti di produzione di 48 kW) e dodici realtà di autoconsumo collettivo (32 kW). Le regioni in cui hanno attecchito di più sono state finora Piemonte e Veneto, seguite dalle isole. Ma il processo, seppur ancora solo a chiazze, sta interessando gradualmente tutta Italia. La soluzione più scelta, in generale, è quella del fotovoltaico, che si fa preferire rispetto a idroelettrico e biomassa. Circa un centinaio sono invece i progetti in attesa di valutazione presso il Gestore dei servizi energetici (Gse), società interamente partecipata dal ministero dell’Economia e delle finanze che promuove l’aggregazione a questa rete e ne monitora gli sviluppi. Un numero destinato a lievitare dopo che, a fine novembre, in Gazzetta ufficiale è stato pubblicato il decreto legislativo che recepisce la direttiva europea Red II sulle rinnovabili. Il decreto definisce il tracciato che dovranno imboccare i 2,2 miliardi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per il sostegno di comunità energetiche e strutture collettive di autoproduzione nei comuni con meno di 5.000 abitanti. Un pezzo vastissimo di Paese dove si prevede l’installazione di circa 2.000 MW di nuova capacità di generazione elettrica che, secondo stime del governo, porterà alla produzione di circa 2.500 GW annui, con una riduzione di 1,5 milioni di tonnellate di CO2.
Obiettivo del decreto è incentivare il mercato dei prosumer, facendo in modo che soprattutto i territori a rischio spopolamento, resi ancora più fragili dall’emergenza sanitaria, diventino via via capaci di autoprodursi l’energia. Per far sì che ciò accada sono state introdotte due nuove misure: ogni singola comunità energetica potrà realizzare impianti più grandi, fino a 1 MW rispetto alla potenza massima che prima era stata fissata in 200 kW; inoltre, i membri potranno fare riferimento non più esclusivamente a un’unica cabina secondaria ma a una cabina primaria. Detto in termini più semplici, significa che se prima il perimetro di una comunità non poteva estendersi oltre il raggio di un agglomerato di case o di un quartiere, da ora in avanti potrà espandersi fino a comprendere più Comuni, soprattutto nelle aree rurali. «Avremo quindi comunità energetiche molto più estese rispetto a quelle attuali», conferma a Nuova Ecologia Gianni Pietro Girotto, senatore del Movimento Cinque Stelle, presidente della X Commissione permanente Industria, commercio, turismo, tra i parlamentari più attenti all’argomento. «In Italia abbiamo circa 5.000 Comuni con meno di 5.000 abitanti, molti dei quali si trovano in aree interne, in collina o montagna. Per tanti poter autoprodurre energia può rappresentare un recupero di vivibilità e di competitività, e di ripresa dell’economia locale».
In Italia abbiamo circa 5.000 Comuni con meno di 5.000 abitanti. Per tanti poter autoprodurre energia può rappresentare un recupero di vivibilità e di competitività
Gianni Pietro Girotto – presidente X Commissione permanente Industria
Tasso zero bocciato
Entrato in vigore il decreto legislativo, spetta al ministero della Transizione ecologica definire un provvedimento attuativo per la concessione di finanziamenti a tasso zero per lo sviluppo delle comunità energetiche. Secondo Sara Capuzzo, co-coordinatrice del Gruppo di lavoro sulle comunità energetiche di Italia Solare, i finanziamenti del Pnrr si sarebbero dovuti però erogare non a tasso zero ma a fondo perduto. «Pensare che queste risorse dovranno essere restituite, seppure con l’agevolazione del tasso zero, ridurrà inevitabilmente la spinta del processo – spiega – I progetti riescono a partire e a funzionare se si garantiscono dei benefici concreti a chi vi partecipa. Se invece si incentivano progetti sostanzialmente legati ai tempi di ritorno dell’investimento, di fatto non si diminuisce la povertà energetica».
La stessa soglia dei Comuni beneficiari dei finanziamenti fissata sotto i 5.000 abitanti rischia di impedire la nascita di iniziative che potrebbero vedere coinvolte, ad esempio, cordate di enti locali come i Gal (Gruppi di azione locale) o le comunità montane. Alcuni di questi soggetti potrebbero rimanere tagliati fuori da opportunità interessanti solo perché situati all’interno di Comuni più popolosi. «E invece queste iniziative vanno incentivate semplificando le cose, e non con provvedimenti che sembrano scollegati rispetto alla realtà», prosegue Capuzzo.
Se si incentivano progetti sostanzialmente legati ai tempi di ritorno dell’investimento, di fatto non si diminuisce la povertà energetica
Sara Capuzzo – Italia Solare
Altro errore è stato non analizzare il rapporto costi-benefici di quanto di buono sin qui è stato prodotto dalle prime esperienze pilota, da quella del quartiere periferico di Napoli est San Giovanni a Teduccio a Turano Lodigiano (Lo), passando per Ferla (Sr) fino a due delle più recenti costituite la scorsa estate nei comuni sardi di Villanovaforru e Ussaramanna, popolati da poche centinaia di abitanti. «Così facendo si continueranno a pubblicare decreti che non conoscendo lo storico non permetteranno alle comunità energetiche di esprimere tutte le loro potenzialità», sottolinea Capuzzo.
Alleggerire le bollette
Tra le potenzialità che le comunità energetiche potrebbero esprimere c’è quella di contribuire concretamente ad abbattere i costi delle bollette, argomento sul quale tanto a livello italiano che europeo nelle ultime settimane sono circolate proposte da “ritorno al passato” che puntano a difendere gli interessi delle lobby dei combustibili fossili o a rispolverare la pista del nucleare. Ma un’alternativa più sostenibile c’è. Secondo uno studio condotto da Elemens per Legambiente, dal titolo “Ridurre le bollette accelerando la transizione ecologica” e diffuso a dicembre, incentivando la costituzione e il consolidamento di forme di autoproduzione e condivisione di energia da fonti rinnovabili questi costi in Italia potrebbero essere abbattuti di 750 milioni di euro al 2030: tra il 10 e il 15% per case e condomini e tra il 5 e il 20% per pubblica amministrazione, terziario, agricolo, pmi e distretti artigiani. L’efficientamento energetico degli edifici porterebbe invece risparmi di quasi 400 milioni: tra 10 e 20% per il settore residenziale, tra 15 e 30% per gli edifici pubblici e tra 15 e 40% per il settore terziario. «Le comunità energetiche possono rappresentare una bella fetta di soluzione, ma non tutta la soluzione – riprende Girotto – Ci sono anche altri miglioramenti su cui puntare. Le rinnovabili ad oggi non possono partecipare al mercato di tutti i servizi ancillari (necessari a garantire la sicurezza dell’intero sistema elettrico, ndr) perché mancano una serie di norme tecniche. Ciò fa sì che questo mercato resti un monopolio delle fonti fossili. È questo il passo successivo da compiere».
Allentare la povertà energetica
Renato Ricci è professore ordinario di Fisica tecnica ambientale e docente di Energetica e aerodinamica all’Università Politecnica delle Marche. Ha seguito gli iter intrapresi dalle Regioni Marche e Abruzzo per la definizione dei rispettivi piani energetici ambientali regionali. Percorsi che hanno portato anche all’introduzione dei primi impianti eolici e fotovoltaici nell’area. Conosce dunque bene sia lo spirito e i princìpi alla base delle prime comunità energetiche italiane, sia gli ostacoli che finora ne hanno frenato la diffusione.
«Soprattutto agli inizi, ma anche adesso, i soggetti che si fanno promotori di questo tipo di progetti sbattono contro paletti legislativi e di tipo attuativo. Senza dimenticare – ricorda l’esperto – che spesso i loro budget di partenza sono risicati, che devono fare spesso i conti con resistenze anche di parte del mondo ambientalista, che vedono bocciati i progetti e difficilmente trovano le risorse per riprovarci. Se non ci sono normative e zonizzazioni chiare, molti di questi progetti, seppur validi, continueranno a fallire sul nascere. I 2,2 miliardi del Pnrr possono imprimere una svolta, ma solo se si daranno delle linee guida. Altrimenti si continueranno a scaricare le procedure sugli enti locali». Che non dispongono delle strutture e del know how necessari per seguirle a dovere.
I 2,2 miliardi del Pnrr possono imprimere una svolta, ma solo se si daranno delle linee guida. Altrimenti si continueranno a scaricare le procedure sugli enti locali
Riccardo Ricci – Università Politecnica delle Marche
Tante buone idee finiranno così con l’essere risucchiate in spirali burocratiche. Motivo per cui, specie i Comuni sotto i 5.000 abitanti beneficiari di questo filone di finanziamenti del Piano di ripresa, dovranno essere spinti a fare un passo verso quei soggetti – cittadini e imprese – che vogliono affrontare questa sfida. «Gli enti pubblici non devono limitarsi a utilizzare i fondi che hanno a disposizione per interventi di riqualificazione energetica e per l’installazione di impianti rinnovabili, ma devono predisporre sportelli informativi a cui rivolgersi per avere informazioni chiare e aggiornate – conclude Sara Capuzzo – Così come è importante il ruolo di intermediario che associazioni presenti sul territorio, come i circoli di Legambiente, possono svolgere per sensibilizzare e informare l’opinione pubblica». Altrimenti allentare il peso della povertà energetica nelle aree limitrofe del Paese resterà uno dei buoni propositi mancati del Pnrr.