Uomo al Diace Autore: Tonino Ansaldo |
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Mentre curvi loro fanno leva al mar, e d'un sol verso danno a gli scalmi i colpi. Che ivi orbi gli appar solo gonfio, che gronda il dorso d'un che prima voga, e sbarrati e supplichi i lumi tuoi e stretti i bianchi in bocca. Quando il legno sotto i calli loro versa di fatica. La pala s'arcua e lenta muove, poi lesta vola a prora, li posa e bianco al passar spumoso lascia. E tu, che volto stai di fronte ai quattro. Pace hanno tue le membra che niun suo lato porta il pianto. Nè grosso, che entra e schianta a te vien l'affanno. Retto siedi, sol derigi colla destra e la manca dai muscoli cheti, ora l'uma alta s'erge, poi svelta cade bassa, come i remi porta l'egual mossa, livida inerte quasi. Mentre l'altra pugna al diace che guida e tre e due ne vira, tocco che dolce forza vuole, e più arte ne l'abil gesta. Muta la pari corsa.,se garbato non frena l'armo e a corsia che segue, presto la punta volta. E tu, che volto stai di fronte ai quattro. E tu, che più d'ogn'altro peni. Poichè sempre il chiaro tue le luci danno e il senno ora vanti vivo. Gran brutto provi, inerme su la dritta liquida via che sei di volte va corsa intro le boe. Ivi al diace fosse remo tu vorresti, il veder prora tergo avversa che avanza, l'onda mangia, poi cresce, più alta viene, o poppa innalzi altrui che su scia arranca, lungi fila, poi scompare, meno alta va. Ma se è vero che, tue le quattro zampe l'egual tempo al passo danno e se niuna versa zoppa, presto l'altre avverse lieti i lumi, cercano dietro a poppa. E tu, uomo al diace, che più soffri in corsa d'una bestia mi par il cuor, la testa. |
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